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Normalità

Si parla tanto di “tornare alla normalità”, in questa fase 2 e 3 e non si sa bene poi quale, come il web, dov’è che siamo arrivati? 4.0? Ma cosa significa normalità?

Google mi dice “Condizione riconducibile alla consuetudine o alla generalità, interpretata come ‘regolarità’ o anche ‘ordine’.

Oggi guardavamo una scena di un film affollata, dove tanta gente si muoveva senza mascherine ed è apparsa strana. Quella normalità è apparsa strana e ci siamo chiesti quanti anni passeranno perché torni normale, così come la concepivamo prima. Si parla di consuetudini, di quello che è una dinamica approvata (mah) o quanto meno vissuta dalla maggior parte.

Io sento che una certa normalità stia tornando, perché mi sembra che ci sia sempre troppo da fare e non abbastanza tempo per farlo. Non è una normalità che mi mancava. Durante la quarantena c’è stato un periodo di rallentamento, per chi come me che l’ha vissuto a casa senza figli, con un lavoro che era digitale prima e digitale è rimasto, con un lavoro di mio marito che si è digitalizzato di più, per cui i confini del casa-lavoro non sono mai stati troppo definiti dalla transizione data dall’uscire di casa, prendere i mezzi e subire i soliti ritardi dei treni, o il bus perso per un soffio. La mia normalità prima non è mai stata troppo normale per tanti altri.

Quindi ci sta, per normalità possiamo anche riferire alle abitudini o alla routine.

Possiamo dire senza troppe opposizioni che una cosa normale, generalmente, non suscita grandi emozioni, ma una cosa non normale, crea indubbiamente sentimenti più intensi.

Se è normale è accettabile, se non è normale è inconcepibile, assurdo, persino abominevole, produce disgusto, perplessità, sconcerto. La normalità, invece, ti lascia piatto, indifferente. Eppure quando questa normalità cambia, abbiamo voglia di riaverla. Non so se è perché manca davvero quella normalità, ma piuttosto la sua mancanza destabilizza, perché la sua perdita richiede un adattamento, che non essendo coscientemente voluto e cercato da noi, implica fatica.

Io non penso di essere normale, perché la mia vita non è mai stata una linea retta che va senza grosse interruzioni o sbalzi dritta verso l’infinito e oltre. Ho fatto scelte che mi hanno sempre un po’ tenuto sulla cresta dell’onda, piuttosto che su una sdraio al sole su una spiaggia tranquilla. Non che non abbia desiderato quella sdraio a tratti, ma da libera professionista e mettendo in discussione e controllando regolarmente il perché faccio quello che faccio – perché non è normale per me andare avanti come automi in un sistema definito da altri, di standard non necessariamente entusiasmanti per me -, mi ritrovo a vivere di intense emozioni e grandi stanchezze, come grandi soddisfazioni e grandi insoddisfazioni. Sì un po’ di estremi. Quando la normalità significa piattume, fare le solite cose, per me non c’è molto di desiderabile. Annichilisce l’energia vitale che anela a qualcosa di più significativo per la mia vita.

Quando la normalità significa potersi dedicare alle cose che contano, allora ben venga.

Alla fine mi rendo conto che quello che è normale per te non è detto che lo sia per me. Dipende tanto, tantissimo da come sei cresciuto, da cosa fa parte della tua quotidianità, dei tuoi valori, dei tuoi capisaldi, colonne portanti della tua vita. Riconosciamo una normalità sociale? Io non sono così sicura che ci sia questa normalità.

Quel che è certo è che le cose sono cambiate. Il cambiamento scombussola, ma è un elemento fondamentale per distinguerci dalle amebe. Non esistiamo soltando, svegliandoci, andando al lavoro e andando a dormire per ricominciare da capo giorno dopo giorno. Cambiare significa evolvere, adattarsi, modificarsi, crescere, fortificarsi, significa riconoscere che se non siamo più bambini non ci comportiamo più da bambini e non ragioniamo più da bambini. E ogni età, ogni decade, porta con sè un nuovo io, ogni giorno io non sono più quella di ieri per cui è normale per me non fare le stesse cose, viverle nello stesso modo, percepirle nello stesso modo. Non significa scuotere tutto alle fondamenta, ma significa vedere cosa rimane quando scuoti tutto e su quello costruire aggiungendo qualcosa di nuovo continuamente.

Cambiare è normale. Anelerei a un cambiamento che porta a crescita ed evoluzione, piuttosto che a devolvere. Che cambiamenti ci sta portando questa nuova situazione? Cosa sono le cose da tralasciare, vivere diversamente, per aiutarci a essere una società che evolve e non tanto per le nuove scoperte, ma per la capacità di imparare da quello che vive e di rimettersi in discussione?

Siamo creature abitudinarie, come al solito credo che l’equilibrio, in questo caso tra stabilità e crescita, sia impegnativo, ma desiderabile. Occhio che se siamo troppo statici rischiamo di fossilizzarci e se non abbiamo sane abitudini e punti di riferimento, rischiamo di essere bandiere al vento.

All’inizio di aprile avevo scritto una lettera intitolandola “E se…”. E se fossi finita in ospedale da un giorno all’altro perché avessi preso il covid, volevo sapere cosa fosse veramente importante per me. Quello che resta, quello è ciò che fa parte della mia normalità, ma non voglio che diventi abitudine o consuetudine, voglio nutrire quello che conta e farlo crescere, come se non mi stancassi mai di guardarlo con occhi freschi e pieni.

Mi piace vivere di emozioni e preferisco che sia normale sorprendermi ogni giorno, perché non è normale farne senza.

Comments (4)

  1. È vero che normalità non ha lo stesso significato per tutti. La normalità è comoda, il cambiamento faticoso e impegnativo. La normalità comprende la maggioranza: nell’epoca del non conformismo la maggior parte invece è proprio conformista e preferisce confondersi che elevarsi al di sopra per non “essere diversa”. È una contraddizione ma è ciò che vedo intorno a me!

    1. Perdona la mia mancata risposta! Così tanti spunti che volevo approfondire e adesso che sono passati mesi gli spunti sono ancora di più! Dici che abbiamo imparato un po’ di più a conformarci meno e a tirar fuori qualcosa di personale? Presi come sono alcuni ad aspettare il “ritorno” ci si dimentica di vivere e adattarsi e cambiare anche noi. Il conformismo è spesso pigrizia, che porta frutti sterili. La comodità , quella che ci rende prigri, va scossa e se questo scossone non ci toglie un po’ di ragnatele di dosso cos’altro lo farà? C’è così tanto da eslorare ed estendere!!! Stimolante il tuo commento, ogni pensiero apre nuove porte!

  2. La normalità, normalmente, mi annoia. 🙂
    Ma speriamo di tornarci presto perché in questo caso la normalità persa corrisponde alla perdita di libertà. Libertà di poter scegliere cosa fare senza limiti di orari e movimento. E libertà di stare vicino alle persone, darle la mano e abbracciarle. Che in un periodo difficile come questo sarebbe maledettamente normale.

    1. Quanto è vero! Il primo lockdown l’ho sentita meno questa mancanza di libertà, ma col tempo si sta facendo sentire e mancano anche a me gesti “maledettamente normali”. Il fatto di non averli inflazionati tuttavia me li sta facendo apprezzare ancora di più! Quanto valore in tante cose che abbiamo considerato piccole e scontate!!! Sai cosa mi piace del tornare alla normalità? Che ci permetterà di vivere il vecchio in modo nuovo e di conseguenza sarà nuova anche lei.

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