L’altro giorno sulla strada sterrata verso casa ho notato una pallina rotolare. Due stercorari se…

Non sarai lo stesso.
Delirio natalizio, delirio da guerra, delirio per troppe armi sequestrate, delirio da trasloco, delirio a cercare casa. Di quale paese o persona sto parlando?
Non volevo iniziare esattamente con una parola così intensa, però ammetto che è quella che mi viene naturale pensare in questo periodo, intanto che penso al mondo intorno a me.
Per chi le feste le vive e può viverle come tali, c’è quel momento dopo il giorno di Natale, quando tutto si accheta. Il delirio è scoppiato e lascia posto a una quiete quasi sconvolgente. Che ti fa porre delle domande sul delirio precedente.
A ma piace la fine e l’inizio dell’anno. Come la fine e l’inizio di capitoli, pagine, momenti, stagioni e anche se a calendario è un passaggio brusco, quasi istantaneo, di solito c’è una transizione che va vissuta e ha tempi tutti suoi, di certo non istantanei.
La riflessione che mi frulla in testa da un po’ e che voglio tenere in superficie per oggi la prendo dal commento della veterinaria alla malattia del mio amato gatto: non sarà più lo stesso di prima.
E non può esserlo aggiungo. Benché ci sia una verità dolorosa da accettare in questa situazione, ovvero la mancata possibilità di guarire, quella frase ha una verità potente. Sì, la dichiaro verità, poiché ci sono cose che puoi accorgertene o meno, puoi accettarle o meno come tali o condividerle, ma sono dati di fatto indipendentemente da cosa ne pensi tu.
E il dato di fatto è che non siamo gli stessi di prima, continuamente. Nemmeno di poco fa.
Oggi, perché è stato vissuto, non può essere come ieri.
Innanzitutto è passato del tempo e siamo soggetti a uno stato di invecchiamento da tempo inevitabile. Percepibile o meno. Capelli caduti, pelle, globuli, neuroni, cellule, cibo introdotto ed elaborato, ferite che si stanno rimarginando, unghie che crescono…. succedono cose che ci cambiano lo stato fisico costantemente. Quindi non siamo gli stessi di ieri nè tanto meno di “prima”.
Aggiungiamo il cervello. Chi lo spegne quello? Pensieri che corrono infinitamente troppo veloci per bloccarli a dove erano ieri, nuovi ricordi, esperienze, informazioni, di cui siamo bombardati incessantemente. E anche se non facessi nient’altro che dormire tutto il giorno, sogni e immagini scorrono incontrollati e rielaborano quello che già c’era (e che ora prende una forma diversa). C’è dunque di più di “prima”.
Aggiungiamo le emozioni e le esperienze che viviamo, anche in una vita di routine e indicibilmente monotona. Per il fatto stesso che ti svegli e ti muovi, probabilmente avrai mangiato qualcosa, magari il tuo cibo preferito o bevuto la solita schifezza della macchinetta, tutto genera reazioni automatiche o meno. Se poi usciamo di casa, forse dovrei dire solo dal letto, sei soggetto agli eventi imprevisti che suscitano altre emozioni che si aggiungono (se pensate di vivere la solita giornata anche monotona in questo periodo natalizio, riuscite a farvi un’idea delle infinite possibilità che possono aggiungere ulteriori reazioni, azioni, emozioni).
Supponiamo che vi dedichiate a qualche attività più “impegnativa”, tipo disegnare se siete artisti, finire un progetto, convincere un cliente a comprare il famigerato folletto, assistere una persona malata, scrivere una nuova canzone… le cose diventano più personali, creative, complesse, hanno un impatto e delle conseguenze. Supponiamo che l’attività sia diversa, tipo siete in vacanza, siete in crisi, siete senza tetto, siete in stato di allerta, siete sclerati… queste cose non c’erano e si sono aggiunte.
Sto cercando di rendere visibile l’ovvio:
Nessuno mai è sempre lo stesso di prima.
Enfatizzo con le parole.
Non devi volerlo, sei diverso, qualcosa è cambiato. Quindi non sei lo stesso di “prima”.
La pianta è cresciuta, la nuvola è passata, il tuo maglione si è sgualcito, no la nuova metropolitana non è finita, siamo in Italia, ma hanno rubato le rotaie, il tuo vicino se ne è andato, il gatto è scappato, il caffè è caduto e il muro si è macchiato.
E tutto ciò senza nemmeno ancora provare ad elaborare quello che accade, solo, per così dire, subendolo e basta.
Cambiare è così parte dell’essere, com’è che noi ci facciamo tanti problemi ad accettarlo e renderlo invece un processo che ci fa cambiare in una direzione che non è data dall’ineluttabilità della vita?
Mi sono sentita dire tante volte nella mia vita “non cambiare mai, resta come sei”. Sono consapevole che fosse un modo per apprezzare qualcosa di gradito di me, tuttavia, “scusatemi, ma io voglio cambiare. Già cambio perché non posso farne a meno, trattengo il buono e lo coltivo, intanto che smusso gli spigoli, faccio pulizia, tolgo erbacce e annaffio quello che voglio vedere crescere. Già, perché cambiare si cambia, il come, almeno una parte, è sotto la mia responsabilità e le circostanze intorno non decidono chi sei tu, ma sono opportunità che decidi tu come gestire”.
Come usiamo dunque queste opportunità, così da sorprenderci quando ci guardiamo allo specchio, non perché non ci siamo accorti del tempo che passa, o che il brutto del mondo ci intacca e influenza, ma piuttosto perché avremo raccolto quello che abbiamo seminato (e curato) un po’ alla volta?
Buon cambiamento.
E buon passaggio al nuovo anno.
In che cosa lo vorresti diverso?
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Foto di copertina di Fabio Jock su Unsplash
Un milione di anni fa, quando andavo all’ITIS (sto per compiere 50 anni: era davvero un milione di anni fa!), un mio amico della scuola d’arte si trovò a recitare nella rappresentazione de “Il sogno di una note di mezza estate” di Shakespeare e ci invitò a vederlo. Il suo insegnante, nell’introdurre a noi del pubblico lo spettacolo, ci raccontò la trama dall’inizio alla fine dicendo che questo era il modo in uso all’epoca di Shakespeare (XVI secolo) di presentare le rappresentazioni, svelando subito il finale cosicché lo spettatore potesse godersi a pieno lo svolgimento senza l’ansia di scoprire come andava a finire. Andai a vedere Christian (il mio amico) e la sua combriccola tutte le volte che potei, riguardando ogni volta lo stesso spettacolo recitato dalle stesse persone ma senza mai trovarlo scontato o noioso perché, nel mentre, cambiavo io. Avevo più informazioni, potevo osservare da punti di vista diversi e cogliere spunti che mi sarebbero serviti come inviti all’osservazione la volta successiva.
Per lo stesso motivo rileggo alcuni libri ciclicamente (cito a titolo di esempio, per mio esclusivo consumo, quelli della saga del Don Camillo di Giovannino Guareschi, Stagioni diverse di Stephen King o La storia infinita di Michael Ende), per vedere quello che non ho visto le volte prima, per osservare quello che non sapevo di poter osservare.
Per te Fede vale la stessa cosa: parlare con te dieci volte dello stesso argomento non subisce mai lo stesso svolgimento e non porta mai alle stesse conclusioni della volta precedente o delle volte precedenti, perché ogni volta si porta dietro anche queste. E questa è la grandezza dell’accettare di cambiare, crescendo, senza limitarsi a invecchiare biologicamente, subendo il cambiamento.
Ventuno anni fa, a ventotto anni, mi svegliai nel letto di un ospedale con un tubo nella gola e un’infermiera che mi diceva che non avrei più potuto farne a meno. Mi diceva che ero cambiato. Non persi mai nemmeno un istante a disperarmi perché non ero più come gli altri perché, in fondo, non lo ero mai stato.
P.S.
Lo stesso spero valga per il vostro gatto: non so se anche loro rischiano di vivere nel rimpianto di quello che non c’è più, ma confido viva nell’ottimizzazione di quello che c’è adesso 😉
Sai di cosa mi hai permesso di rendermi conto? Che per risponderti ti ho già riletto più volte, e rivivo due delle cose che mi colpiscono di più nel mare di meraviglie che hai concentrato in poco spazio:
1) gli spunti offerti come “inviti”
2) “per osservare quello che non sapevo di poter osservare”; c’è una potenza in questa frase che me l’assaporo ancora.
Siamo invitati a goderci lo spettacolo e non a perderci continuando a pensare a come andrà finire!
Buffo che con la vita evitiamo di pensare a come andrà finire perché pensiamo proprio che ci rubi la gioia di vivere. Ma tutti sappiamo come andrà finire (il come come letteralmente tutto da vedere), ma siamo invitati in egual modo a goderci lo svolgersi. Cosa che ho tutta intenzione di fare con il mio gatto!
Tu di certo sei una persona capace di cogliere le opportunità offerte e di farle emergere anche nelle situazioni più impegnative. E per me è una gioia costante poter affrontare con te anche le stesse cose perché non lo sono mai! L’immagine che mi viene è quella della spirale… anche quando ci sembra di ripassare dallo stesso punto, siamo un po’ “più su”, proprio perché non sarà mai completamente la stessa identica situazione con le stesse caratteristiche. E dunque abbiamo quell’opportunità meravigliosa che tu hai vissuto con lo spettacolo del tuo amico… ecco, permettimi di chiudere così, davvero uno spettacolo! Grazie!