Skip to content

Il vuoto di un buco

Ieri ero un po’ arrabbiata e molto stanca.
Ed era lunedì, che di per sé non è un problema, se non quando segue una bellissima domenica che non vorresti che finisse. Da quando non siamo piu in città, i weekend sono veri weekend, che rigenerano e ricaricano.
Così dopo molte settimane, mesi ormai, vado nel mio piccolo rifugio, il mio laboratorio creativo che oltre a essere assopito sotto una brina di letargo per mancato utilizzo, offre una temperatura fresca in questa estate il cui sole cuoce anche nelle giornate coperte.

E la prima cosa che mi viene da fare, nemmeno a dirlo, è prendere un po’ di creta e cominciare a scaricare qualunque cosa mi abbia portato giù. Cosa faccio, cosa non faccio, vorrei dare forma a quello che provo, ma per quanto ami l’astrattismo non sono mai stata capace di lasciarmi andare al punto di non definire nella mia mente delle forme che abbiamo immediata associazione.

Tuttavia, un po’ alla volta mi sono lasciata andare e ho creato un set di emozioni che perdono un po’ alla volta queste forme definite per comporre un quadro effettivamente significativo di quello che provavo.

E c’è un elemento ricorrente che mi piace, il vuoto. Nato dal “buco”. Ho applicato dei buchi nelle mie mini opere e sempre con un perché. E mi dicevo, tra me e me, non è un buco, è un vuoto.
Inevitabile tornare alla mente quella paura del vuoto che tutti i clienti hanno sempre quando crei della grafica che deve respirare, ma per qualche ragione si tende a voler affollare pagine, spazi, stanze, riempirle di roba che non si distingue l’una dall’altra. Benedetti margini e spazi tra un elemento e l’altro che, per qualche ragione, chi non fa grafica ritiene sprechi, senza comprenderne la necessità e la potenza.

Il vuoto è fisico e il vuoto è emotivo, è quel che proviamo quando ciò che sentiamo non corrisponde al benessere che vorremmo, quando ti trovi a parlare con qualcuno e sembra che le parole che invii cadano nel vuoto, ecco appunto, perse, invece di cogliere nel segno, arrivare a destinazione. Non riceviamo il riscontro che inconsciamente sappiamo di volere, che ci ha spinto a parlare in prima battuta.

Qualcuno ci lascia. Se ne va. Non fa più semplicemente parte della tua quotidianità. Traslochi. Prendi strade non condivise. Vuoi uscire, ma quella sera sono tutti occupati. Infinite sono le situazioni che provocano vuoti più o meno importanti.

Fatto sta che il vuoto lascia un buco. Ma è percepito come buco, in realtà io lo vedo come nuovo spazio che si crea. Non spazio che magari cercavi, ma spazio di cui avevi bisogno.
Quello che vuoi e quello che ti fa bene non sono sempre la stessa cosa. Anzi. Molto spesso non coincidono affatto.

Fatto sta che quando si crea spazio, ti ritrovi involontariamente o per forza a considerare quello spazio e quello che c’è intorno. Il vuoto ti obbliga innanzitutto a fermarti un attimo, a porre attenzione, a pensare, a raccogliere quello che pensi e provi, a cogliere quello che un evento ha provocato. Tale evento ha smosso qualcosa, ha scosso qualcosa dentro e finché sei troppo pieno per accorgertene, tu continui imperterrito per la tua strada. Finché non ti fermi, e fermarsi significa rendersi conto che qualcosa manca, che qualcosa non è al suo posto, che qualcosa va o è cambiato. E questo fa inevitabilmente paura. Paura del vuoto.
Paura dell’assenza di un appoggio familiare, conosciuto, quella sicurezza che viene dal sapere, o pensare di sapere o di avere, di quello che si fa, dalla pura routine o azioni consolidate, fatto sta che sei costretto a trovare un nuovo equilibrio.

E all’improvviso quel vuoto si riempie, di cose nuove, di cose buone, di cose di cui avevi bisogno, ma che non sapevi di averne bisogno, perché eri troppo pieno per accorgertene. E si aprono nuove possibilità. Guardi quel vuoto e sei costretto a trovare alternative, sei costretto a cercare altro, altrove, in altro modo, a guardare con occhi nuovi.

E se prima guardando quel buco vedevi quello che mancava, adesso riesci a vedere quello che ci sta dietro, aprendo un modo di nuove possibilità. Non è più vuoto, ma è pieno, di novità, di speranza, di elementi che non potevi vedere finché non ti fossi liberato di quel pezzo.

E dunque godiamoci lo spettacolo. Il vuoto dovrà trovare un nuovo modo di darsi forma, ma lo spazio nuovo ci permette di aggiungere qualcosa di importante nel bagaglio che ci portiamo appresso. Non c’è perdita, che ahimè sa essere profondamente dolorosa, che non porti con sé qualcos’altro, se decidiamo di guardalo con occhi diversi e lasciare che apra la porta sulle sue nuove possibilità.

E dunque amo il vuoto, perché è tutt’altro che vuoto.

Comments (4)

  1. Ho appena letto le tue riflessioni sul vuoto e concordo. Devo dire che per la prima volta dopo una vita mi sono ritrovata a pensarci col covid: di punto in bianco avevo tanti buchi da riempire ed ho dovuto reinventare gli spazi dato che le “certezze” non erano più tali. Impegni e priorità cambiati. Turto nuovo e il vecchio da affrontare in modo nuovo. Non è stato facile. ma ogni nuova situazione porta nuovi insegnamenti! Bacio bacio

    1. Mamy carissima, questo covid ha scosso tanti equilibri, tanta polvere, tante fragilità. Ha portato a galla tante cose più o meno trascurate e ci vuole coraggio a rimettersi in gioco e ritrovarsi su nuove strade, nuovi equilibri, per vivere il nuovo e il nuovo vecchio. Tanto rispetto per chi come te è riuscita a farlo e continua a farlo. C’è ancora molto da imparare e un po’ alla volta, con pazienza e grazia per noi stessi e chi ci sta intorno, continuamo questo cammino col terreno che cambia forma continuamente. Un grosso bacio a te!

  2. Si parla di vuoto: fisiologico, necessario anche se per taluni fastidioso, oppure subìto. Due tipo di vuoto, quindi: quello fisico e quello percepito (anche il vuoto è multidimensionale 😂)

    In merito al tuo vuoto “grafico” ti giuro che, mentre leggevo di te che concepivi spazi non-pieni per dar forza e risalto a quelli pieni (vuoto ragionato) mi si figurava un tuo ipotetico cliente che ti dice: “Ma come? Io acquisto uno spazio pubblicitario di 800 x 200 pixel e tu me ne lasci bianchi così tanti?” e mi viene da sorridere, pensando a com’è forte in taluni la tentazione di nascondere l’incompetenza con la fretta. Avresti dovuto vendere loro banner pieni di pixel colorati alla carlona ma non bianchi, che il bianco non è bianco ma vuoto (come dev’essere difficile spiegare che lo spazio bianco è spazio bianco).

    In merito al vuoto percepito credo che non esista mai, nella vita di ciascuno, alcun vuoto reale, ma tanti spazi a disposizione: quelli che non sappiamo come usare li chiamiamo vuoti, ma non sono loro ad essere vuoti, siamo noi a non saperli riempire. Sono spazi “non pieni”! Mi spiego (sai che io ho bisogno degli esempi): in un loro incredibile successo, With or without you, gli U2 ci raccontano in parole e musica cosa succede l’istante dopo che un rapporto si conclude istantaneamente, del tipo “eravamo amanti clandestini, poi la controparte del protagonista è stata scovata dal proprio legittimo e, semplicemente, in un istante ha detto addio ed è sparita”: nello spazio e nel tempo del protagonista, in quell’istante cioè nel momento dell’addio, si creano vuoti così grandi che lui non può più vivere, “nè con, nè senza” di lei. Ma il problema è solo suo di lui: lo spazio e il tempo esistono a prescindere, solo che da quel momento sono di nuovo “da riempire” e lui non sa come fare, perché deve inventarselo di nuovo!

    Ed è lì che volevo arrivare: neanche il vuoto percepito esiste davvero, perché chiamiamo vuoto quello che non troviamo già pieno grazie all’inerzia. Per te che sei iper attiva non esisterà mai la noia (stato mentale di chi non ha iniziativa e si affida all’esterno per riempire i propri vuoti) e, noi che ti ronziamo intorno, troveremo sempre i nostri vuoti colmabili con i tuoi attacchi creativi 😉

    P.S. Ti faccio notare che anche mentre scrivi a video lasci vuoti, ovvero salti righe perché l’occhio, leggendo, quando va a capo sappia subito da dove ripartire. Ragazzi, non è che il vuoto non serve. Se non ci credete ancora, provate ad uscire a cena con un commerciale o con un politicante: vi parleranno così tanto a lungo e senza sosta che sarete voi ad invocare il vuoto!!!

    1. Hulk! Quanti spunti infinitamente interessanti che lanci! Davvero un tema troppo interessante e tutto da sviscerare. Già quando parli di vuoto reale e vuoto percepito ci sarebbe da aprire mille parentesi… ci sono infiniti interstizi apparentemente vuoti che si riempiono facilmete quando arrivano input che attivano ogni molecola e neurone attivo. Attiva anche quelli assopiti, dunque grazie intanto. Ho le rotelle che girano, troppo in movimento in testa e troppo da dire.

      Gli spazi per permettere di leggere, il bianco che non è vuoto, è bianco – ho riso troppo quando hai parlato del banner… ah che bello essere compresi! -, il vuoto che si cerca di riempire dall’esterno, rendendolo spesso un baratro di vuotezza che è pieno di sentimenti che non vogliamo, quegli istanti che non mi ero mai fermata a cogliere nella canzone degli U2 pur avendola ascolta mille volte, insonorizziamo il cervello e non cogliamo nemmeno quello che ci arriva diretto, oh quante cose da cogliere ed elaborare.

      Assolutamente vero, multidimensionale e tremendamente desiderabile quando gli altri non lasciano spazio al vuoto! Che equilibrio negli opposti!

      Grazie per i tuoi sempre stimolanti commenti. Potremmo scriverci un’opera magna sul vuoto. Se non fosse che mi è così difficile fermarmi su una cosa sola senza continuare andare oltre… ci sono tanti vuoti da scovare, comprendere, ridipingere!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna su