L’altro giorno sulla strada sterrata verso casa ho notato una pallina rotolare. Due stercorari se…

E tu cosa sei?
Quando abbiamo traslocato qualche mese fa, abbiamo ereditato dall’inquilina precedente una serie di piante più o meno boccheggianti. Abbiamo tenuto quelle che sembravano semi vive, nella speranza di vedere quali sarebbero sopravvissute e cosa avrebbero tirato fuori.
Tra le varie ce ne sono due, una sorta di mini alberelli tutti storti, che sembravano non avere nulla di particolare da offrire, eppure arrivata la primavera ci hanno sorpreso scatenandosi in un trionfo di fiori ciclamino da tutte le parti. Adesso stanno sbiadendo per lasciar posto a un alternarsi curioso di foglie super verdi e foglie rosso marroncine.
Ieri in particolare mi sono soffermata invece su altre due, apparentemente più insignificanti delle altre, cespugliose, giallognole, affollatissime, arbusti senza un vero perché. Mi è venuto in mente Gesù col fico sterile, quando gli ha dato un anno per vedere se avrebbe portato frutto o meno. Io ho pensato di dar loro meno di un anno, ma mi sono detta, proviamo a dar loro una sistemata e vediamo cosa succede.
Così, non sapendo bene come smatassare un blog intricato di non so bene che cosa, ho cominciato rimuovendo tutte le foglie secche incastrate, così come i rametti secchi che potevo vedere. Rimuovendo un po’ alla volta, girandola continuamente, approcciandola un po’ come una cipolla, uno strato alla volta, che il cuore chissà dove fosse nascosto, impossibile da raggiungere, ho avuto modo di osservare questa pianta e conoscerla. Liberandola dalle schifezze che evidentemente la soffocavano, ho potuto districare un po’ alla volta ogni ramoscello e non ho potuto fare a meno di sorprendermi vedendo come ad ogni ramo secco e morto partisse una nuova diramazione, fresca e viva. Devo riconoscere che questa pianta urla voglia di vita, tentando ad ogni dove di trovare una strada.

Abbiamo anche notato in una delle 2 che ci fossero delle foglie verdi nuove. Pulendola mi sono resa conto che il ramoscello con queste foglie non parte dal centro come tutti gli altri, dove la matassa aggrovigliata non lasciava spazio a una mosca di passare. Ha trovato un suo angolino al lato del vaso spuntando verso l’esterno. Vi siete mai sentiti soffocare? Ritrovarvi a correre dietro le mille cose da fare, una vita che è fatta di infinite cose che non sembra di potersi mai fermare? Avete mai guardato la matassa della vostra vita e, desiderando dargli una svolta, non sapere da dove cominciare?
Probabilmente vi sarete anche chiesti quale fosse il cuore sepolto dalla routine, la stanchezza, la burocrazia, quelle relazioni che appesantiscono, la mancanza di una direzione… ma capirlo, vederlo, un compito arduo. L’unica cosa certa è la necessità di un po’ di ossigeno. E allora cominciamo dalle foglie secche, quelle che si vedono, quelle palesi. La prima cosa per me è stata ascoltare cosa sentivo e cercare di dargli un nome. Ero stanca e appesantita.
Cominciando ad alleggerire il carico, pur continuando a trascinarmi, ho cercato di affollare meno la mia giornata, filtrare, dare priorità alle miriadi di cose da fare. Più mi permettevo di respirare più mi accorgevo di cosa ci fosse sotto. Così come la pianta, più cose si rivelavano. Ho trovato quei rami secchi che prima non vedevo, cosa ci stesse davvero sotto a quello strato di stanchezza che copriva ogni cosa. Ho notato anche le diramazioni che andavano in direzioni assurde, nel tentativo di trovare uno sbocco, un po’ di sole, ma invano. E quante cose ho tentato anch’io per dare un senso alla mia spossatezza, alla mia voglia di vita, di sogni, di uno scopo, una direzione, tentando strade e cogliendo quelle che pensavo opportunità e che invece mi hanno inaridito di più. Certo mi hanno insegnato tanto, ma ho cominciato a capire che non potevo più permettermi di disperdere le mie energie in direzioni che non erano quelle in cui volessi andare. E quindi ho tagliato. Chiaro ogni tanto provare alternative e strade inusuali fa decisamente bene, tuttavia nel caso della pianta era palese che quei tentativi fossero inefficaci.
Le possibilità sono potenzialmente infinite, come scegliere? Il pensiero che mi ha guidato in tutto il lavoro che ho fatto con questi arbusti è una cosa che avevo sentito sui gradi secondo cui si distribuiscono i petali di un fiore, che è tale per ottimizzare al massimo l’esposizione al sole. É da qui che sappiamo viene la vita, insieme alle radici (di queste ne parlerò un’altra volta). Dunque scegliamo in quale direzione andare in base a cosa e dove permette di prendere il sole. Per me uno dei miei soli era ovvio e ricorrente, la mia creatività. Quale scelta mi permette dunque di andare verso di essa?
Capire quindi quali diramazioni eliminare per incoraggiare quelle efficaci, non è banale, guardarle tuttavia, osservarle, capirle, notare quelle che sostengono foglie quasi secche, riconoscere quelle forti, è un lavoro remunerante. Ho più volte messo su carta le mie forze e le mie debolezze, e imparare a riconoscerle ti da una consapevolezza che rafforza e aiuta a capire dove andare.
Ho anche notato, dopo una bella potatura, che ci fossero dei boccioli nuovi, ben nascosti dal folto di prima.
In mezzo al casotto della mia matassa, ho fatto cose che non avevo mai fatto prima, tra cui lavorare in un café dove gestivo dalla cassa, al servizio, all’accoglienza e duemilasettecentoottantacinque cose in contemporanea. Miglia fuori dalla mia zona di comfort. Mi sembrava di aver buttato via tempo e risorse in una direzione che non centrasse nulla; una diramazione dispersiva? A quanto pare no. Mi ha dato coraggio, rafforzato la fiducia, fatto capire che potevo iniziare qualcosa di nuovo e farlo con successo e soddisfazione, oltre a mettere in campo e spolverare risorse nuove. Nuovi boccioli, dove non pensavi. Ho fatto tesoro e applicato quanto imparato e scoperto nella direzione che volevo e di cui avevo bisogno.
Stamattina guardavo le due piante e, benché non sappia ancora cosa siano, devo dire che non solo sono più belle, ma sembrano più felici. E sono curiosissima di vedere se il mio amore per loro permetterà loro di tirar fuori la loro vera bellezza.
Il mio percorso è fatto di molte altre diramazioni, potature, concimi e tanto di più, ma un po’ come loro, non sembro, ma sono più felice, respiro di più, e ho vita che sprizza da ogni poro e va sempre di più in quelle direzioni dove il sole lo sento e mi nutre.
Se avete foglie secche da rimuovere, non esitate a farlo.
Se c’è da potare, potate con saggezza. E godetevi il percorso.
Potreste sorprendervi anche voi!!!

È molto bello e molto vero quello che hai scritto. L’ho vissuto anch’io con le “ciofeche” che mi porta a casa papi. La natura è incredibile e non finisce mai di stupirmi e ogni volta mi dico che se Dio ha dato queste infinite e incredibili possibilità di vita e ripresa alla natura quante più
ne ha date a noi? Dobbiamo solo scoprirlo.
Caspita, che prospettiva significativa che proponi in questo momento di precarietà! In effetti come è sorprendente come la natura riesca a trionfare nelle situazioni più impervie e improbabili, è altrettanto sorprendente quanto l’uomo abbia una resilienza e una capacità di risorgere dalle proprie ceneri, perché siamo stati ben forniti! Wow, mi da molta fiducia per il futuro! Grazie!!! È indubbiamente un momento in cui dobbiamo e possiamo scoprire di che pasta siamo fatti. 💛
Wow Fede :O
Finalmente!
Cioè, non “Finalmente scrivi qualcosa di decente” ma “Finalmente io trovo qualcosa che valga la pena leggere”, ed è il tuo blog!
Fino ad ora i tuoi spunti stanno suscitando in me interesse crescente, ma non è importante: di certo non sarà sempre così, perché il mio modo di approcciarmi alle cose è molto più gretto del tuo e quindi inadatto, ma la cosa bella è che sai raccontarti in modo efficacissimo!
Mi spiego con un parallelismo (io vivo nella certezza di non riuscire a spiegarmi, quindi uso parallelismi a valanga): un milione di anni fa (tipo nei primi anni ’90 del secolo scorso), dalle mie parti, andai, tirato per la camicia dai miei amici, a vedere uno che suonava alle Feste de L’Unità, che si chiamava Ligabue. La prima volta, a Villalunga, c’era lui che suonava e una ventina di persone davanti. Sotto al palco, io chiesi alla mia amica Gibbo: “Ma lui qua chi è?” e lei mi rispose “Boh. E’ un amico di mia sorella”. Poi il mio amico Chicco ci fracassò i timpani con le sue canzoni (Bar Mario, Marlon Brando è sempre lui, Non è tempo per noi, Balliamo sul mondo, ecc..) al punto che ci appassionammo tutti e diventammo suoi seguaci: ho ancora il primo live del Liga, pochi giorni prima della pubblicazione del secondo album “Lambrusco, coltelli, rose e pop corn”, alla Festa de L’Unità a Modena, nel cui live (registrato da me con un walkman) si sente solo Chicco che canta. Tutte le canzoni tranne una, Libera Nos a Malo: l’album non era ancora uscito e il Liga era la prima volta che la suonava in pubblico.
Poi lui divenne “Il Liga” per tutti ed io lo andai a vedere dal vivo anche nei tour dei due album successivi: “Sopravvissuti e sopravviventi” e il mitico “Buon compleanno Elvis”, non più alle Feste de L’Unità ma al Palasport di Modena (oggi PalaPanini) e niente gratuità ma biglietti a pagamento, come le rockstar blasonate.
E poi smisi di colpo di seguirlo. Zero. Era il 1995.
Perché? Semplice: perché lui smise di raccontarmi il suo mondo ed iniziò a raccontarmi il mio, così come sta facendo tuttora.
Solo che io il mio lo conosco già…
Fine parallelismo. Il significato è questo: finché hai un mondo da raccontare, fallo!